SPENDING REVIEW LA GUERRA AI PROPRIETARI DI IMMOBILI DA PARTE DEL GOVERNO Qualcuno dovrà pur dirlo ai cittadini
E’ passata in sordina. Pochi se ne sono accorti, quasi nessuno; pochi se ne sono resi conto, quasi nessuno. Spacciandolo per spending review il Governo Monti ha fatto inserire nel Decreto Legge 6 luglio 2012 n. 95, convertito nella Legge 7 Agosto 2012 n. 135, recante “Disposizioni urgenti per la recisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini” in vigore dal 15 Agosto 2012, una rubrica particolare denominata “Razionalizzazione del patrimonio pubblico e riduzione dei costi per locazioni passive”. Ma la riduzione dei costi per le locazioni passive la fa scontare ai privati, penalizzando ancora una volta solo esclusivamente i proprietari di immobili e nella fattispecie i proprietari di immobili che hanno concesso in locazione i propri immobili alla Pubblica Amministrazione per le esigenze locative, per finalità istituzionali, della Pubblica Amministrazione. Spending Review’ è un termine inglese che significa “revisione della spesa”. In pratica è l’analisi dei capitoli di spesa dei singoli dicasteri atta ad individuare dove il governo può “sforbiciare” per risparmiare. Serve per eliminare sprechi e inefficienze, liberare risorse da utilizzare per interventi di sviluppo, garantire il controllo dei conti pubblici, ridare efficienza al settore pubblico allo scopo di concentrare l’azione su chi ne ha bisogno. Con la Spending Review il Governo avrebbe dovuto intervenire analizzando le voci di spesa delle pubbliche amministrazioni, per evitare inefficienze, eliminare sprechi e ottenere risorse da destinare allo sviluppo e alla crescita. La razionalizzazione e il contenimento dei costi sono infatti indubbiamente fondamentali per garantire, da un lato il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, e dall’altro l’ammodernamento dello Stato e il rilancio il circuito economico. Le nuove disposizioni di revisione della spesa pubblica miravano a tre obiettivi aveva informato Palazzo Chigi in una nota subito dopo l’emanazione del decreto legge: il primo obiettivo era quello di iscrivere il funzionamento dell’apparato statale entro un quadro razionale di valutazione e programmazione; il secondo obiettivo era la riduzione della spesa che non incideva in alcun modo sulla quantità di servizi erogati dalle pubbliche amministrazioni a favore dei cittadini ma mirava a migliorarne la qualità e l’efficienza. Il terzo obiettivo puntava all’eliminazione degli eccessi di spesa che testualmente si diceva “produrrà una serie di benefici concreti per i cittadini e permetterà, anzitutto, di evitare l’aumento di due punti percentuali dell’IVA per gli ultimi tre mesi del 2012 e per il primo semestre del 2013”. Non è stato così ! Invece di ridurre gli sprechi della spesa pubblica ed eliminare gli eccessi di spesa, e tutti sanno quanti ce n’è a partire dalle spese per la politica, il governo ha pensato bene di fare gravare sui proprietari degli immobili concessi in locazione alla P.A. il proprio risparmio in considerazione dell’eccezionalità della situazione economica tenuto conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di contenimento della spesa pubblica. Ha così disposto all’art. 3 della citato Decreto Legge, convertito nella predetta Legge 135/2012, la immediata non applicazione per un triennio, 2012-2013-2104 dell’aggiornamento dei canoni di locazione in base agli indici Istat. Ha per l’esattezza precisato che l’aggiornamento relativo alla variazione degli indici Istat, previsto dalla normativa vigente, non si applica al canone dovuto dalle Amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della Pubblica Amministrazione, come individuate dall’Istituto Nazionale di Statistica ai sensi dell’art. 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonché dalle Autorità indipendenti, ivi inclusa la Commissione Nazionale per le società e la borsa (Consob), per l’utilizzo in locazione passiva di immobili per finalità istituzionali. Come se ciò non fosse sufficiente ha altresì disposto che a partire del 1° gennaio 2013, i medesimi canoni di locazione, sono ridotti a decorrere dal 1° gennaio 2013 della misura del 15 % (15 per cento) di quanto attualmente corrisposto. La motivazione della norma è specifica: al fine del contenimento della spesa pubblica. Sconcertante la precisazione ulteriore che la riduzione del canone di locazione si inserisce automaticamente nei contratti in corso ai sensi dell’art. 1339 c.c., anche in deroga alle eventuali clausole difformi apposte dalle parti, salvo il diritto di recesso del locatore. E sconcertante il 3° comma che prevede che “le Regioni e gli enti locali di cui al
decreto legislativo 18 agosto 2000, per i contratti in corso alla data di entrata in vigore del
presente decreto, le regioni e gli enti locali hanno facoltà di
recedere dal contratto, entro il 31 dicembre 2012, anche in deroga ai
termini di preavviso stabiliti dal contratto”. Non viene poi escluso il rinnovo del rapporto di locazione, ma il rinnovo deve essere consentito, da parte delle suddette pubbliche Amministrazioni, solo nella coesistenza dei alcune condizioni:
a) disponibilità delle risorse finanziarie necessarie per il pagamento dei canoni, degli oneri e dei costi d’uso, per il periodo di durata del contratto di locazione
b) permanenza delle esigenze allocative in relazione ai fabbisogni espressi agli esiti dei piani di razionalizzazione di cui all’art. 2, comma 222, della legge n. 191/2009, ove già definiti, nonché in quelli di riorganizzazione ed accorpamento delle strutture previste dalle norme vigenti (in mancanza delle condizioni di cui sopra, i relativi contratti di locazione sono “risoti di diritto” alla scadenza nei tempi e nei modi ivi pattuiti).
Non è finita. la riduzione del 15% sul canone congruito (si noti il termine usato dal legislatore) dall’Agenzia del Demanio è applicata anche ai contratti di locazione passiva, aventi ad oggetto immobili ad uso istituzionale di proprietà di terzi, di nuova stipulazione a cura delle Amministrazioni di cui al comma 4, ferma restando la permanenza dei fabbisogni espressi ai sensi dell’art. 2, comma 222, della legge n. 191/2009, nell’ambito dei piani di razionalizzazione ove già definiti, nonché in quelli di riorganizzazione ed accorpamento delle strutture previste dalle norme vigenti. Manifesta la incostituzionalità delle disposizioni di cui sopra, né può giovare ai fini di evitare un drastico intervento da parte della Consulta che le disposizioni di cui sopra siano rivolte, ma solo nella mente del legislatore, al contenimento della spesa pubblica e alla razionalizzazione del patrimonio pubblico. Un simile intento deve trovare la sua soluzione all’interno della Stato non certo a spese dei soli proprietari di immobili. Non è infatti pensabile una spending review, cioè come si è detto un intervento per eliminazione degli sprechi e per la razionalizzazione del patrimonio pubblico, fatta a spese dei soggetti che hanno locato i loro immobili alla Pubblica Amministrazione. Ma il Governo Monti ha ancora una volta rivolto la sua attenzione, con l’intento evidente di colpirli ulteriormente, ai proprietari di immobili e non ha trovato di meglio che apportare ipso facto riduzioni ai contratti di locazione in essere tra la Pubblica Amministrazione, nella sua qualità di conduttrice, ed i proprietari che hanno locato gli immobili alla stessa P.A. a sensi degli artt. 27 e segg. Legge 392/78. E lo ha fatto prevedendo in primo luogo che, per il triennio 2012/2014, non si applica l’aggiornamento all’indice Istat del canone dovuto da tutte le Amministrazioni Pubbliche, ivi comprese le Regioni, gli Enti locali, gli Enti pubblici e le Autorità indipendenti. Orbene nei contratti di locazione per immobili che la Pubblica Amministrazione ha locato dai privati, come un normalissimo conduttore qualsiasi loca un immobile ad uso diverso dall’abitazione, la Pubblica Amministrazione riveste anch’essa la qualità di “privato”, senza privilegi di sorta. Una simile locazione, come qualsiasi locazione ad uso diverso dall’abitazione è regolata dalle disposizioni di cui alla legge n. 392/78. Specificatamente l’art. 42 della citata legge, mai abrogato, regola proprio questo particolare tipo di locazioni di immobili adibiti ad attività ricreative, assistenziali, culturali, scolastiche e quelli Stato e altro Ente pubblico territoriali in qualità di conduttori, disponendo che anche queste locazioni sono sottoposte alle norme di cui art. 32 e 41 e a quelle di cui all’art. 27 e segg. della citata legge. L’art. 32, e successive modifiche, riguarda specificatamente l’aggiornamento ISTAT del canoni di locazione nella misura non superiore al 75% della variazione annuale; mentre per quanto attiene i canoni di locazione vigeva e vige il principio della libertà di contrattazione sull’importo dei canoni. Nessuna norma di alcun genere dal 1978 ad oggi è intervenuta per porre limitazioni ad una determinata categoria di contratti di locazione; nessuna norma ha ad oggi abrogato le disposizioni di cui all’art. 42 Legge 392/78; e nessuna norma può farlo ad esclusivo interesse, tra l’altro, di una delle parti di un contratto “privato” ed in danno solo dell’altra parte. Quanto disposto dall’art. 3 del predetto decreto legge denominato spending review – convertito prontamente in legge – è, a dire poco, incredibile e, senza ombra di dubbio, del tutto incostituzionale. Ed è immaginabile, anche a prima vista, il danno economico per i proprietari, che subiscono, tra l’altro, una imposizione di non applicare una norma di legge regolarmente pattuita, da parte di un conduttore, lo Stato, che dispone a suo piacimento dei diritti delle parti con una legge, che solo a lui fa comodo e che solo lui può fare, e a tal fine d’imperio si “autoriduce” il canone di locazione. E tanto se lo riduce che, ancora peggio, per i locatori la norma prevede non solo il mancato pagamento dell’Istat di cui si è detto, ma addirittura una specifica riduzione anche dei canoni di locazione degli immobili locati dallo Stato nella misura del 15% a decorrere dal 1 Gennaio 2015 e, tale norma si inserisce “imperativamente” ed automaticamente in tutti i contratti posto che viene richiamato espressamente l’art. 1339 cod. civ. che così recita: “le clausole, i prezzi di beni o di servizi, imposti dalla legge, sono di diritto inseriti nel contratto, anche in sostituzione delle clausole difformi apposte dalle parti”. E ancora in peggio è che a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione (15 Agosto 2012) la riduzione si applica immediatamente ai contratto scaduti o rinnovati dopo tale data. Molto da dire non c’è, se non che è decisamente del tutto inaccettabile che lo Stato legiferi imperativamente – nel suo solo interesse – nei rapporti di locazione in cui esso è una delle parti del rapporto contrattuale. Un simile intervento, che permette al locatore solo l’eventuale recesso, e non ad esempio una ricontrattazione del canone su di una base di parità contrattuale – come avviene soprattutto di recente nei contratti di locazione ad uso diverso stante il grave moomento economico sociale, mentre il rinnovo della locazione è consentito solo alla Pubblica Amministrazione che abbia una disponibilità finanziaria per il pagamento del canone e degli oneri per l’intera dura del contratto, è una imposizione che supera qualsiasi limite della decenza legislativa che non è giustificabile assolutamente da niente. L’intervento legislativo d’urgenza sui contratti di locazione nei quali lo Stato è conduttore comporta che al locatore privato è preclusa sia una opposizione all’iniqua disposizione sia, come detto sopra anche una contrattazione nuova sul canone e in un rapporto nel quale lo Stato è una parte “privata” del contratto di locazione e come tale si deve comportare. I contratti di locazione nei quali lo Stato è un privato conduttore non sono soggetti a differenze di alcun genere dai contratti di locazione ad uso diverso dall’abitazione stipulati da altri soggetti privati. Intervenendo nei negozi locatizi in corso, senza alcuna considerazione della legge in essere e di quanto liberamente pattuito di quanto pattuito dalle parti in ossequio a detta legge, è un deciso attacco non solo alla libertà di contrattazione ma viola senza ombra di dubbio i principi di correttezza e trasparenza che dovrebbero sempre caratterizzare i rapporti tra lo Stato ed il cittadino. Subire supinamente è impensabile. Permettere allo Stato un simile intervento legislativo, che è purtroppo un bieco e deprimente attacco alla libertà di contrarre dei cittadini costituzionalmente e giuridicamente garantita, non lo si può proprio accettare, perché potrebbe essere un principio troppo pericoloso e che potrebbe portare a ben altri interventi ancora più invasivi della proprietà privata e della gestione della proprietà privata e dei rapporti privati. La Costituzione e le leggi della libera contrattazione privata vanno rispettate in primis dallo Stato, e non possono continuare ad essere calpestatati anche in periodi ed epoche buie sotto tutti i profili come quelli in cui viviamo. Ma vivere così diventa impossibile. Necessario un deciso intervento della Corte Costituzionale anche per fare sì che in fondo al tunnel una luce si possa effettivamente intravedere. E speriamo che tecnocrati e politici non si prendano più gioco dei cittadini e garantiscano quello Stato di diritto che spesso negli ultimi tempi viene da costoro decisamente dimenticato.
Avv. Gabriele Bruyère Presidente Nazionale dell’UPPI